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Roche – A fianco del coraggio
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Come un temporale, una lucciola, una risata
Questa non è una storia a lieto fine ma è una storia lieta, a tratti. Il dolore si è scagliato su di te, da lì si è riverberato sulle persone che ti stavano accanto e propagato su coloro che stanno accanto a chi ti vuole bene. Amiloidosi sistemica con mieloma multiplo è stato il verdetto dopo più di un anno di incertezza rispetto a quei sintomi così incomprensibili allora e fin troppo chiari dopo.
Respiro corto, gambe gonfie, paresi facciale, ecchimosi sulla pelle.
“Portatemi al mare” chiedevi già in primavera, ma tra un ricovero e l’altro in ospedale chi se la sentiva di farti stare al sole, e se la pressione fosse scesa e se ti fossi tagliata e infettata con qualcosa? Ci siamo andati noi al mare, a Cesenatico, dopo esserti venuti a trovare in ospedale e quella sera abbiamo scelto il ristorante dove portarti a cena appena possibile. E così è stato.
Eri così felice e spensierata quella sera, hai rubato il tempo alla malattia quella sera.
Ci hai preso gusto a rubarle il tempo.
“Però io voglio andare al mare in spiaggia” continuavi a ripetere. Noi non volevamo rischiare e abbiamo rilanciato con tante altre sere al ristorante. Una volta, un agriturismo in mezzo alla campagna: di notte, tante cicale, una lucciola. L’estate stava arrivando e la brezza era così dolce. Poi all’improvviso il temporale preannunciava il suo arrivo, vogliamo sbrigarci per non incontrarlo al ritorno verso casa. Avevamo paura: paura che ti bagnassi, paura che scivolassi, paura che ci cogliesse un fulmine. “Come siete sciocchi” ci dici, “a me piace così tanto il temporale”. Hai accompagnato quelle parole con una risata sonora e cristallina. La più bella che avessimo mai ascoltato. Ed è stato così, d’un tratto, che abbiamo capito che mentre noi avevamo paura di tutto tu, ormai, non temevi più niente. Arrivati a casa, incredibilmente, il cielo era tornato completamente terso.
Le stelle, luminose più che mai.
Abbiamo visto la tua ostinazione nel rubare sempre più tempo alla malattia. Le forze stavano tornando, tu eri tornata. “Voglio andare al mare” continuavi a ripetere e ti ci hanno portato infine, in una tiepida giornata di settembre.
Noi non c’eravamo quel giorno, ma poco importa. Il mare che hai tanto desiderato ti ha portata via quel pomeriggio di fine estate, quasi con un soffio, un’onda, in maniera lieve, senza soffrire. Forse vogliamo trovare per forza un significato dietro al tuo desiderio ma ci piace pensare che portatemi al mare significasse per te rimanere fedele a te stessa fino alla fine. Vi prego, fatemi rimanere me stessa, sembravi chiederci con insistenza. Per questo, anche per noi, resterà fissato come un monito, la tua eredità. Ricordarci di rimanere fedeli a noi stessi, sempre. Anche quando è una storia senza lieto fine, ma che comunque merita di essere raccontata.
Perché in fondo tutti dobbiamo morire e allora, se è così, forse ciò che importa è se riusciamo a dilatarlo il nostro tempo. O a rubarlo.
A fissarlo in pochi semplici istanti eterni.
Come un temporale, una lucciola, una risata. Le stelle, la brezza, il mare.