14 agosto 2008
Che succede alla tua famiglia se tua moglie ha un tumore? Non sai che fare, non hai strumenti, non hai la
capacità di affrontarlo, non sai che dire e come parlarle, nessuno lo insegna; iniziò tutto quando tua figlia di
cinque anni disse: “guarda mamma, hai del sangue lì, sulla maglia” indicando il seno.
Devo dire che mia moglie ha fatto coraggio ad entrambe; la sua formazione di farmacista e l’avere lavorato
in una struttura universitaria dove i farmaci si conoscono, si studiano, si creano e se ne prova l’efficacia, le
diede la convinzione di poter sconfiggere la malattia con metodi noti.
E io? Insieme a lei, studiavo i casi di quei tumori, mi informavo su terapie ed interventi più efficaci, ed
insieme decidevamo quale atteggiamento tenere nei confronti dei medici, forse più interessati a controllare
le spese delle strutture sanitarie che di scovare malattie e soluzioni per affrontarle.
Il primo tumore al seno fu operato, ma ce n’era un secondo nascosto; grazie all’insistenza e determinazione
di mia moglie, l’oncologo avviò una nuova serie di accertamenti, alla fine dei quali non solo ci diedero
ragione, ma scoprirono che il tipo di tumore dell’altro seno era più pericoloso e radicato del primo.
La decisione giusta fu quella di andare a Milano, da specialisti del settore, in una struttura di eccellenza per
la cura e ricerca sui tumori, accreditata in tutto il mondo, dove trovammo un oncologo che prese a cuore il
caso di mia moglie e che ancora oggi la segue con professionalità ed affetto; dove trovi un Medico che il 24
dicembre telefona per tranquillizzarti dopo una email disperata (inviata da poche ore) per il risultato
istologico appena spedito?
Io le facevo coraggio, a parole, ma lei me ne dava tanto coi fatti, con le azioni; una era la raccolta maniacale
(col senno di poi, fondamentale) di faldoni nei quali inserì tutto e nel tempo diventarono una enciclopedia
cronologica di ogni visita esame visita-pre-operatoria operazione (ad oggi sono 10) esiti e monitoraggi
continui, così per circa seicento volte: se vuoi vivere devi farlo, e mia moglie ha un motivo inossidabile:
vedere nostra figlia crescere e diventare una donna capace e forte, padrona del suo avvenire.
Il marito, il “capofamiglia”, che deve fare? Esserci, non scappare disperato, essere forte come lei, avere
convinzioni oltre i risultati, credere che un giorno, anche se lontano, i problemi diminuiranno fino ad una
convivenza con una malattia che puoi congelare, ma non scompare, perchè è lì, sempre presente, sempre
in grado di tritare la tua famiglia; poi arrivò un terzo tumore, Linfoma Non-Hodgkin all’intestino (LNH).
Iniziammo una nuova chemioterapia; uso il plurale perché l’accompagnai spesso, oltre quando era
indispensabile la mia presenza (colon/gastroscopie, operazioni, chemio)
Il problema economico non è secondario: viaggi e pernotti a Milano, visite specialistiche ed alcune analisi
particolari, nessuno li rimborsa; le assenze di mia moglie dal lavoro, nonostante lei programmasse visite e
cure coincidenti con l’assenza dei “suoi” studenti, determinò un sostanziale mobbing che la indussero a
cambiare mansione; perciò chiese il prepensionamento.
Recentemente una ripresa del LNH ha obbligato mia moglie a cambiare tre volte la chemio, poiché non
tollerava più le terapie precedenti e gli anni di sostegno farmacologico (8-12 pillole/dì per 14 anni) non
aiutarono; ora ha finito anche questa battaglia, ma la guerra non è finita, non finirà mai; sarà motivo di
rinnovato accordo e sostegno reciproco tra mia moglie, mia figlia e me.